Studiando il capolavoro di Lang, M: innovazione e visione filosofica nel dilemma etico del male

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Come confessa M stesso nel finale di partita i suoi impulsi lo obbligano a compiere atti deplorevoli che non lasciano dubbi sulla giuria improvvisata di malviventi che con verdetto unanime hanno sentenziato l’inevitabile condanna a morte, in seguito alla scomparsa di numerose bambine. M ci prova, tenta per farsi passare per inetto puntando all’ infermità mentale e anche se lo spettatore è attanagliato dal dubbio quando egli sostiene di non ricordare nulla dei suoi misfatti, nessuno vuole rischiare di vedere M di nuovo a piede libero dopo una possibile evasione. Ma la sorte vuole che sia la polizia a mettere le mani sul verdetto finale e una giuria normale animata da sana rettitudine dovrà esprimere un giudizio sulle malefatte del nostro eroe: colpevole fino alla pena di morte o malato da risanare e correggere, inteso come meccanismo guasto da riparare? MVisto da questa prosepettiva il film di Lang è innovazione allo stato puro: torna la filosofia del male con tutte le sue implicazioni ed emerge dalle ceneri del muto per regalarci un effluvio di soluzioni sonore raccapricianti, come il motivetto che accompagna le scorribande del mostro per le vie di una città insidiata da famelici impulsi. Ma ricominciamo da capo. M, Il mostro di Düsseldorf, come recita la famosa enciclopedia, è un film tedesco del 1931, diretto da Fritz Lang. Il film, che è considerato uno dei prototipi del filone noir che si sviluppò poi in America negli anni Quaranta, si ispira agli efferati crimini commessi nella Germania negli anni venti da Fritz Haarmann e Peter Kürten. In una città tedesca (il film è ambientato a Berlino, ma il titolo italiano richiama il caso di cronaca del 1925, che ha ispirato il film, avvenuto a Düsseldorf) la popolazione è terrorizzata da un maniaco che ha adescato e ucciso otto bambine. MLa polizia è messa sotto pressione dall’opinione pubblica quando il Mostro uccide un’altra bambina, e si impegna a fondo nella ricerca, ma non dispone di nessun indizio [CIT]. A questo punto deve impegnarsi la malavita locale che coordinata e con un efficace gioco di squadra riesce a estrapolare un indizio risolutivo, grazie a un cieco che ha origliato sul marciapiede un motivetto durante il sequestro di una bambina, un suono inequivocabile che porterà i cacciatori a mettere le mani sulla preda. Il film finisce con M sottratto a una folla inferocita che sta per giustiziarlo in un pubblico ludibrio quando ecco subentrare la polizia che consegna M a un processo civile che non sappiamo come finirà. Sintomatiche le parole delle madri delle vittime che dettano la loro verità e cioè che nessuno potrà mai più riconsegnare alla vita le sventurate strappate alla morte dalla malattia del mostro. Al di la dei dilemmi ci sono immagini forti da fumetto come la famosa M sul soprabito del mostro e le ombre proiettate sulle locandine delle vittime a presagire nuovi minacciosi eventi che consegnano questa pellicola al dio immortale di celluloide che vigila le pellicole dall’ alto dei cieli. Lang sembra preoccuparsi molto della comunicazione che deve arrivare allo spettatore, per esempio il cieco che è la chiave che risolve la situazione in stallo, pur essendo riconoscibile per i suoi atteggiamenti, indossa un cartello con la scritta BLIND inequivocabile. Lo stesso fa il regista in altre situazioni quando intende far capire in maniera indelebile quello che sta succedendo. L’espressionismo nel cinema alla fine è qualcosa che si capisce: pur essendo geometrico e lineare conserva tutta la potenza comunicativa di una storia che ha solide fondamenta. A sfornare termini da usura come capolavoro e simili si rischia di diventare speculativi e noiosi, M di Lang alla fine è qualcosa che fa parte della storia del cinema per le visioni che il regista è riuscito a convertire in fatti. Un qualcosa che va visto e rivisto: ammirati.